Concorso di progettazione per la Riqualificazione urbana Piazza Umberto I e del centro storico di Besana in Brianza capoluogo
2009, Besana Brianza (MB)
gruppo progettazione:

Sandro Beltrami (capogruppo), Carla Zovetti, Alessandra Gritti

collaboratori:

Federico Berti, Michael Vincent Uy

3° CLASSIFICATO_Rimborso spese

DALLA RELAZIONE DI PROGETTO
Premesse
Per come è stato enunciato, il proposito di riqualificare il centro storico di Besana Brianza comporta una sfida progettuale straordinaria. La formulazione stessa del problema, che si identifica nella relazione tra luogo e programma, impone interrogativi profondi ed al tempo stesso lascia intendere una velata risposta, poiché, questo quadro di riferimento, unico e irripetibile, suggerisce che il progetto debba prendere forma proponendo un attento dialogo con il sito. Quest’ultimo inteso nella sua accezione più vasta, non solo come luogo fisico, ma come risultato – complesso e in continua evoluzione – della interazione di fattori di diversa natura. Il sito quale prodotto di un continuo incrocio di relazioni, che il progetto dovrà cercare di evocare, interpretare e articolare – in funzione di un’idea chiara e logica – per una sua possibile trasformazione.

Il tempo

Passato, presente e futuro appartengono alla coscienza e definiscono l’esistenza di qualsiasi essere umano o comunità. L’architettura si confronta con la nozione di tempo in una forma particolare. La durata di un progetto si riassume in un istante minimo, se comparato con l’età del sito in cui interviene, o con tutti i secoli di storia dell’architettura (che qui sembrano coincidere), oppure semplicemente con l’aspettativa di permanenza di ciò che si prevede di costruire. L’esercizio del progetto rappresenta così, una specie di gigantesco sforzo di assimilazione, durante il quale tutti questi tempi vengono evocati e compressi, formulando una proposta di interpretazione che li articola, e dalla quale risulta una continuità leggibile. Se la storia corrisponde, in qualche modo, alla sovrapposizione stratificata di presenti successivi, l’architettura è assimilabile ad un’archeologia della trasformazione: “l’uomo distrugge una civiltà, ma ne costruisce un’altra utilizzando i mattoni di quella precedente” (Andrzej Wajda). In ogni progetto la storia appare come scritta dal nostro tempo, cristallizzata in una condizione materiale che annulla differenze di secoli. E quando, per un motivo qualsiasi, l’architettura si appoggia ad una specifica eredità, esige sempre la fondazione di un tempo proprio del progetto. La fondazione di questo tempo – primordiale, legittimatore, legittimante e fondativo – è un atto di libertà e responsabilità da esercitare simultaneamente. In questo modo la conoscenza della storia non rende prigionieri; anzi, invita in ogni momento ad assumere una condizione di assoluta contemporaneità. Per quanto compiuta ci appaia, la conoscenza oggettiva del passato è sempre completata da un insieme di dati più soggettivi, che nell’atto di scoprire possibilità di intervento aprono percorsi ai contributi decisivi della memoria, dell’intuizione, della sensibilità e dell’intelligenza. Nell’architettura la formulazione di un problema è sempre interpretazione, e la chiave di lettura di un luogo non può che essere il progetto della sua trasfigurazione.

La città

Le città, i borghi sono i luoghi della civilizzazione per eccellenza: la loro realtà fisica e quella sociale sono inscindibili. Nonostante permanga ancora una certa idea romantica della città come sinonimo di artificio, luogo di permanenza forzata di buoni selvaggi il cui destino sarebbe invece quello di vivere nell’ambiente “naturale”; è sufficiente una rapida analisi della demografia e del territorio mondiale, per capire che la maggioranza del genere umano, nasce, vive e muore in luoghi inequivocabilmente urbani da secoli. In quanto realtà fisica e sociale, la città (in particolare in un’Europa di cui l’Italia è l’esempio paradigmatico) è assunta come contesto naturale e primo dell’individuo. La città è, simultaneamente, causa ed effetto della concentrazione di persone, di beni e di servizi, e delle relazioni che tra questi si instaurano, in un determinato luogo, in uno specifico momento e nel corso del tempo. Si tratta di luoghi di molteplici complessità, generate da fattori diversi, che sono al tempo stesso protagonisti e comparse, soggetti e oggetti di azioni altrui. Queste dinamiche, sono forse più facilmente riconoscibili tra gli individui che compongono la società, ma non sono molto diverse da quelle che si stabiliscono tra gli edifici che formano il corpo costruito della città. In un borgo con questo peso storico, è inevitabile che un nuovo intervento di modifica dello stato di fatto – soprattutto se collocato in una delle sue aree più sedimentate – trovi nelle preesistenze una matrice di supporto, alla quale non può non appartenere e dar continuità. Ma allo stesso tempo – e in questo il programma di concorso è esplicito – l’iniziativa ha l’ambizione ulteriore di rigenerare e alimentare il tessuto urbano, assumendo le condizioni particolari del luogo e del programma previsto. Analogamente alle attività civiche e culturali che i luoghi ospiteranno, la loro struttura dovrà porsi come oggetto di relazione e non come opera chiusa in sé. L’intervento darà origine e apparterrà a percorsi, stimolerà e giustificherà flussi, offrendosi come attrazione e destinazione, come motore e supporto. Lo spazio pubblico è fatto dalla città, ma al tempo stesso costruisce la città.

La materia

L’ambiente fisico, costruito o naturale, che inquadra la vita dell’uomo può essere inteso come un sistema di pieni e di vuoti, di materia e di sua assenza. Alla scala domestica questi pieni sono pareti, pavimenti e coperture; i vuoti sono gli spazi abitabili, delimitati e modellati dagli elementi solidi. Alla scala urbana gli edifici stessi si presentano come grandi pieni, più o meno impenetrabili; in questo caso i vuoti sono vie, piazze o giardini. Lo spazio pubblico lasciato libero dai volumi. Da sempre, disegnando le città in pianta, si è definito un codice in cui gli edifici sono campiti con colori, lasciando bianco lo spazio esterno. Ma questi disegni sono quasi sempre letti, probabilmente per analogia con altre arti figurative, come una composizione di forme significanti su uno sfondo neutro. Questa interpretazione non traduce la vera natura della relazione tra pieni e vuoti, come entità complementari. Nel nostro caso è invece utile campire quello sfondo, in modo da rendere evidente che esso stesso è cosa dotata di nome e senso, che è forma. Il vuoto quindi si modella usando come negativo i limiti costruiti che, a loro volta, conferiscono ad esso le dimensioni – larghezza, lunghezza, altezza – nel disegno ritagliato dal cielo. Oltre alla geometria, sono le specifiche proprietà fisiche di questo calco (colore, tessitura, peso, rumore o odore) che conferiscono qualità e carattere specifici al vuoto corrispondente. Uno spazio scavato nella roccia non è uguale allo stesso spazio, con la medesima forma, scavato nel legno. Questo significa che qualsiasi progetto definisce, non solamente ciò che è, ma anche ciò che non è. Ne consegue che disegnare un edificio o una città è, in buona parte, disegnarne il vuoto.

Il progetto

Il progetto si propone di trasformare in domestico ciò che è urbano, così da rendere inscindibili decoro e decorazione, poiché mescola insieme modi e culture, sia produttive che tecniche, evidentemente diverse. Il progetto investe un tracciato di fondamentale interesse storico che lega la Besana Inferiore con la Besana Superiore; la strada, percorso commerciale e luogo di incontro e di vita contemporanea, rappresenta la scena urbana dalle multiformi identità, dalla zona delle antiche ville patrizie, alla zona più rurale e artigianale, passando per i centri della vita comunitaria civica e religiosa, aventi come fulcro centrale la piazza Umberto I, sulla quale si affacciano la chiesa e la casa comunale. Il progetto rende evidente la volontà di articolare la strada in una sequenza di spazi e luoghi autonomi, che contrappongono alla visione unitaria e ininterrotta del percorso, una successione di piazzette, slarghi, esedre, .... collegate tra loro da segmenti di strade ognuno con una propria texture e un particolare disegno. La metafora della città come casa si invera nella piazzetta-stanza e nella strada-corridoio dove un susseguirsi di tappeti scandiscono, anche in rapporto alla lunghezza, le gerarchie delle architetture che si affacciano sulla via, allegoricamente la gerarchia delle stanze. Sullo sfondo regolare di lastre di beola di diversa larghezza, posate nel classico sistema a correre, viene collocata la pavimentazione in cubetti di porfido. L’irregolarità della pavimentazione in beola serve ad assorbire le diverse ampiezze della proiezione orizzontale delle facciate segnate sulla strada, mentre la regolarità dei riquadri in porfido rappresenta l’ordine, il ritmo, la scansione del percorso, accentuata dalla canalina centrale per la raccolta delle acque e dall’accoppiamento delle caditoie in pietra. L’intera superficie del suolo, risulta pertanto lastricata attraverso un intarsio materico tendente a esaltare le varie atmosfere della strada, camminare, riposare, osservare, alternando l’uso delle beole (con diverso trattamento superficiale) e del porfido (a cubetti), accostando una diversa gamma di “temperature” dei materiali che vanno dai toni caldi, semicaldi, fino alle atmosfere più fredde. Alcuni “oggetti” completano l’opera: sistema di illuminazione, sistemi di sedute, dissuasori e paracarri, ...... Per quanto invece riguarda nello specifico Piazza Umberto I, il progetto individua due ‘tracce’, costituite dagli assi dei corpi di fabbrica della chiesa e della casa comunale, che generano due griglie – con giaciture leggermente divergenti – la cui maglia individua gli assi di posa della pavimentazione. Le ‘tracce’, attraversano la piazza e i giardini pubblici, costituendo aiuole e percorsi come dita di due mani intrecciate che legano il suolo ‘minerale’ con quello ‘vegetale’ per poi generare i ‘bastioni’ che delimitano le aree terrazzate a verde, con forme omotetiche, che ampliano il piano della piazza verso Ovest e generano la cavea del teatro all’aperto. Le medesime giaciture individuano i nuovi filari di alberature con i gelsi che ripropongono l’antico ‘prato dei moroni’. Al di sotto del piano della piazza è stato ricavato l’autosilo a 3 piani interrati. Una serie di tettoie in acciao ‘corten’, intercalate da scatole trasparenti contenenti scale e lift di risalita dall’autosilo, separano le due parti della grande piazza, quella ‘minerale’ da quella ‘vegetale’, generando, con vari gradi di permeabilità, una stimolante relazione tra le due parti.

Sostenibilità ambientale

Un approccio progettuale cosciente non può prescindere dai temi ambientali e di sostenibilità. Nello specifico i temi trattati riguardano: l’utilizzo di piante autoctone (mantenimento della biodiversità locale, migliore longevità e adattamento al clima locale, preservamento dell’equilibrio della flora, risparmio di CO2 per il trasporto; l’utilizzo di pietra naturale di provenienza locale (sensibile risparmio di CO2 per la minore distanza dal luogo di estrazione. La beola presenta un basso indice di albedo con minore surriscaldamento dell’aria circostante per irraggiamento; l’utilizzo di fontane e sistemi d’acqua (comfort microclimatico locale tramite processi evaporativi); la raccolta e il recupero delle acque meteoriche (per l’irrigazione delle piante e per il sistema antincendio del parcheggio sotterrane); i sistemi fotovoltaici (la copertura delle pergole della piazza integra i pannelli fotovoltaici per la produzione di corrente elettrica, da utilizzare per l’illuminazione pubblica, l’alimentazione delle pompe delle fontane e l’alimentazione delle colonne elettriche per i banchi del mercato; la pensilina funziona come elemento ombreggiato per la sosta)

Sketch 01Vista aerea della piazza 01Tavola 01Tavola 02Tavola 03Planimetria 01Planimetria 02Vista aerea della piazza 02Viste delle delle "stanze" e dei "corridoi"Sistemazioni stradali
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